porti turistici - No Marine Resort

RIPENSARE IL TURISMO. IL CASO DEI PORTI TURISTICI

DI FABIO BALOCCO

RIPENSARE IL TURISMO

Secondo uno studio pubblicato l’anno scorso dalla rivista Journal Nature Climate Change e che ha avuto vasta risonanza il turismo costituisce ben il 10,1% del PIL mondiale ed è la più importante industria sulla Terra, ma anche la più impattante, non fosse altro che per la CO2 immessa in atmosfera, pari all’8% del totale.
Basti pensare agli aerei, alle navi, alle auto che si spostano in funzione turistica, basti pensare ai villaggi turistici, agli impianti di risalita, ai campi da golf, ai residence, alle seconde case, basti pensare alle agenzie di viaggio e alle piattaforme online.

QUI LO STUDIO

Che poi porti anche ricchezza nei paesi dove il turismo approda è anche vero, ma mettiamo sull’altro piatto della bilancia le trasformazioni economiche e spesso ambientali e territoriali che esso causa, pensiamo a Venezia per le trasformazioni economiche.
Venezia, lo sappiamo, è diventata una città che vive pressoché esclusivamente sul turismo, ma questo a scapito di un tessuto economico tradizionale che oramai non esiste più. Pensiamo alle seconde case in Liguria o nel Salento per le trasformazioni ambientali e territoriali, oppure pensiamo ai lodge che hanno snaturato vaste zone insulari, dalle Seichelles alle Mauritius alle Maldive.
Ma pensiamo anche all’inquinamento delle menti di coloro che viaggiano, pensiamo alla frase “sarete come a casa vostra” che accompagna certi pacchetti di offerte turistiche, frase che denota quanto il turismo sia sganciato dalla realtà locale e consenta di mangiare gli spaghetti o la pizza anche ai Tropici.

Ma pensiamo anche solo ai milionari che intasano il campo base dell’Everest in attesa di essere issati sulla cima, pur non essendo neppure capaci di indossare i ramponi; pensiamo ai campi da golf nel deserto, laddove l’acqua è un bene preziosissimo; pensiamo alle masse di croceristi che si ingozzano sulle navi ad ogni ora del giorno e pretendono magari di toccare San Marco con un dito. E ci viene da chiederci se è un circo barnum o un teatro dell’assurdo o chessò io.

Con questo, non voglio demonizzare l’industria turistica, dico solo che noi siamo portati a pensare al turismo solo in termini di svago per chi lo pratica e di introiti economici per chi lo riceve. Bisogna invece allargare il nostro orizzonte mentale. E faccio ancora un esempio legato a quelle trasformazioni economiche di cui sopra e alla attualità della pandemia. Parlavo in questi giorni con un caro amico che fa la guida naturalistica nelle Eolie e lui mi raccontava di come le isole vivano pressoché esclusivamente sul turismo.
Dimodoché, a fronte di una situazione contingente di limitazioni al traffico, esse siano pressoché morte.
Eppure le Eolie non sono nate sul turismo, erano realtà pressoché autonome economicamente fino a qualche decina di anni fa. Ora non più, dipendono esclusivamente dal denaro dei turisti, e se i turisti non ci sono è la crisi nera.

IL CASO DEI PORTI TURISTICI

Quell’inquinamento delle menti che ci induce a vedere nel turismo solo aspetti positivi, si riflette in una delle esplicazioni dell’industria turistica: i cosiddetti “porticcioli” turistici.
Già solo il nome “porticcioli” denuncia quanto innocui essi siano ritenuti. La realtà purtroppo è ben lontana dall’immaginario, ed è drammatica.
Iniziamo dai numeri. In Italia ci sono 355 porti turistici per un totale di 158.548 posti barca (dato tratto dal Diporto Nautico del Ministero delle Infrastrutture relativo all’anno 2017, i riferimenti li trovate qui)

La regione regina come numero di porti è la Sicilia con 68, seguita dalla Sardegna con 61 (la sola provincia di Olbia ne conta ben 34). In realtà però la regione che conta il maggior numero di posti barca è la Liguria grazie ai due mega porti di Sanremo e Lavagna: ne conta ben 23.775, ed è seguita dalla Sardegna con 19.194. La Liguria detiene anche un altro primato: un comune rivierasco su due ha un porto turistico.

Ma perché, anche qui, demonizzare i porti turistici? In realtà, non si tratta di demonizzazione ma di analisi della realtà. Una realtà molto amara.

Innanzitutto i porti turistici costituiscono un ostacolo per le correnti marine, esse vengono deviate e viene a mancare l’apporto di materiale litoide a valle della struttura portuale. Questo spiega perché se i porti vengono realizzati in una zona sabbiosa, la/le spiagge non ricevono più sabbia e ghiaia e con gli anni arretrano. Fenomeno questo che verrà accentuato, a tendere, con l’innalzamento del livello delle acque marine dovuto al riscaldamento globale.

Secondo aspetto. L’inquinamento arrecato dalle imbarcazioni che stazionano all’interno del porto e la conseguente alterazione della biocenosi, con la scomparsa, qualora esistenti, delle praterie di Posidonia marina.

Terzo aspetto. Non è complottismo pensare che i porti turistici siano realizzati per fare un favore alla lobby dei costruttori, posto che l’Italia è il secondo produttore di cemento in Europa.

Questo spiega come mai quando si chiede di realizzare un porto si chiede altresì di edificare sul fronte porto, e non solo dei servizi funzionali alla navigazione, ma centri commerciali, hotel e seconde case.

Operazione questa facilitata dal D.P.R. 509/1997 (definito “decreto Burlando”, dal nome del suo proponente, Claudio Burlando), che prevede procedure semplificate per realizzare i porti; nessuna gara, ma assegnazione diretta; concessione atta a garantire il recupero dei soldi spesi, nel senso che è lo stesso proponente ad indicare la durata della concessione; ed appunto opere annesse sulla costa.

Quarto aspetto. Possibile infiltrazione della malavita nella realizzazione di opere a mare e/o nella gestione del porto. Prendiamo la Liguria. Nella regione è stato dimostrato che la malavita e in particolare l’andrangheta è stata coinvolta nella realizzazione dei porti e persino nella loro gestione. Per quanto riguarda in particolare quest’ultima, si consideri che nei porti turistici non vi sono controlli costanti da parte delle forze dell’ordine, come nei porti commerciali, e quindi è facile utilizzare le imbarcazioni in entrata per traffici illeciti, quali droga e armi.

Ma vi sono altri aspetti da considerare, che qui riassumo brevemente.
Uno è il costo dei porti, che spesso ad opera terminata è superiore al preventivato, e questo è un vizio tipicamente italiano.
Un altro aspetto importante è l’alterazione della bellezza.
Un golfo intatto, indipendentemente dagli aspetti di carattere ambientale, costituisce un bene unico: un porto turistico arreca una alterazione irreversibile a quella bellezza naturale. Un ulteriore aspetto è che un porto turistico è un regalo alle persone benestanti: chi si può permettere l’acquisto di una imbarcazione da diporto e di assolvere alle obbligazioni del contratto di ormeggio del posto barca? Quindi il porto arrecherà danni sicuri alla collettività e benefici per una ristretta fetta di popolazione.
Eppure, eppure. Eppure dove vengono realizzati i porti spesso la popolazione (non parliamo dei politici che favorevoli lo sono sempre), spesso la popolazione dicevo è favorevole, ed il motivo risiede semplicemente nel fatto che essa viene blandita con la solita, usurata motivazione: l’opera porterà ricchezza.
A parte il fatto che spesso i porti vengono realizzati in località che già hanno un flusso turistico, a parte il fatto che in realtà è dimostrato che la ricchezza in più rispetto al prima è trascurabile, comunque nessuno si perita di fare una comparazione di quanto si guadagna e di quando si perde, in termini di naturalità del mare e della costa.
In conclusione vi prego, non usate più il termine “porticciolo” che sa tanto di piccolo e innocuo.
Qui di piccolo e innocuo non c’è proprio nulla.
Per chi volesse approfondire la tematica, consiglio la lettura del saggio “Il Mare Privato. Lo scempio delle coste italiane. Il caso dei porti turistici in Liguria. Le conseguenze di cemento, speculazioni, criminalità”, l’unica pubblicazione che ad oggi affronti la problematicità dei porti turistici.

Lo trovate qui:
https://altreconomia.it/prodotto/il-mare-privato/

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