no marine resort - contro la cementificazione di san vito lo capo

Cavallo di Troia

Oggi, grazie ai numerosi spunti di riflessione che abbiamo estrapolato dal saggio del nostro amico, avvocato, scrittore e blogger Fabio Balocco (autore del saggio “Il Mare Privato” – Altraeconomia, 2019), vogliamo raccontarvi, il “TRANELLO” dei porti turistici.

Partiamo da un breve, splendido, passo del saggio: “Il demanio marittimo […] è il luogo di tutti per eccellenza, ma proprio per questo è più facile che diventi terra di nessuno, spazio per abusi e atti corsari, dove i pirati non sbarcano più dal mare ma arrivano da terra: cementificano, costruiscono, occupano suolo pregiato togliendo metri quadrati alle nostre passeggiate, prospettive al nostro sguardo, al nostro bisogno d’orizzonte, di spazio, di bellezza”.

La costa ed il mare, dunque, sono beni della collettività, sono nostri, esattamente come le piazze, i marciapiedi e le scuole del paese. Sono beni che per loro stessa natura devono restare nelle mani pubbliche, perché solo le mani dello Stato, se mosse da una visuale sostenibile e di tutela del paesaggio e dei beni culturali (art. 9 della Costituzione), sono in grado di generare una promessa di futuro per le nuove generazioni e per le imprese tutte.

Se così non fosse, se i nostri spazi fossero lasciati alla mercé del privato cittadino o investitore, la loro stessa funzione “pubblica” verrebbe meno. Anzi, peggio, questi stessi beni della collettività verrebbero piegati ad un unico principio: la massimizzazione del profitto, a scapito di chiunque e di qualunque territorio.

A nessuno di noi Sanvitesi, ad esempio, verrebbe in mente di consentire che la piazza Santuario o la via Savoia fossero recintati, il loro accesso limitato o il loro uso ceduto ad un privato, se non altro perché questi luoghi ci appartengono, sono siti destinati alla nostra vita quotidiana, alle nostre passeggiate, allo svago o, semplicemente a dare uno sfogo a chi il paese lo vive.

Quando si tratta di privatizzare il mare, però, sembra quasi che la “recinzione”, il confine e la limitazione d’accesso, interessino meno. Proprio perché, per la sua stessa collocazione, come dice Fabio Balocco, è facile che il mare diventi “terra di nessuno”.

Ma pensiamoci. Non che sia illecito o illegittimo, per un privato, nel rispetto delle leggi, utilizzare determinati luoghi pubblici per scopi privati; ma almeno noi sanvitesi, facile preda di atti atti corsari, dobbiamo sapere A CHE COSTO questo utilizzo può avvenire.

In primo luogo, i porti, come ogni forma di cementificazione della costa, comportano un mutamento delle correnti e degli inevitabili effetti di erosione delle nostre meravigliose coste. Non si può negare (www.erosionespiagge.eu), e numerosi studi lo confermano in modo oggettivo ed incontrovertibile, che le opere portuali hanno degli effetti devastanti sul delicato sistema costiero.

Non solo. Spesso, la realizzazione di opere portuali innesca un meccanismo vizioso in base al quale, per porre rimedio ai nefasti danni provocati dal porto all’ecosistema si interviene con altro cemento, potenziando, rafforzando, realizzando cubi e pennelli, pannelli, dighe, sabbiodotti e prevedendo ripascimenti stagionali.
Insomma, la “soluzione” scelta dagli amministratori, di frequente, è quella di alimentare la macchina della cementificazione e di tutto il suo indotto, a scapito, sempre, della collettività.
In sostanza, il paradosso: per ripristinare la condizione preesistente, invece che demolire il superfluo si continua a costruire e ad intervenire con palliativi costosissimi, ad esclusivo beneficio di chi questi palliativi li esegue.

In secondo luogo, e questo è uno scenario che si ripete decine di volte in diversi comuni costieri della nostra penisola, “Si cementifica, si cambia l’assetto degli arenili e si mettono a rischio le attività balneari diffuse e rivolte ai comuni mortali, quelli senza barche e yacht, che ancora davano un po’ di respiro all’imprenditoria locale. Siamo dunque entrati in una fase distruttiva dell’ambiente e DELLE POSSIBILITÀ’ DI LAVORO PER LE PICCOLE IMPRESE”. (“Il Mare Privato” – Altraeconomia, 2019).
Piccole imprese fagocitate – questo lo diciamo noi – dall’egemonia del grosso, destinate a diventare entità passive ed economicamente “dipendenti” nella loro stessa terra.

no marine resort - contro la cementificazione di san vito lo capo

Ecco, dunque, il tranello del porto turistico: un CAVALLO DI TROIA che potrebbe aprire le porte a volumi commerciali, coltri di cemento che, in barba ai piani regolatori comunali, cavalcando una Legge che apre il campo a chi voglia edificare la costa, potrebbe imporre sulla nostra baia una infrastruttura che NULLA, o poco, avrebbe alla fine a che fare con la nautica.

Ricapitolando, abbiamo parlato di erosione, di alterazione dell’ecosistema (i porti sono deleteri, ad esempio, per la salute della Posidonia di cui il nostro mare e ricco), di cemento, di “macchina” del cemento, di privatizzazione e di stravolgimento degli assetti economici.
E questi sono solo alcuni dei rischi che ci proponiamo di far conoscere ai nostri lettori prima che possano esprimersi, secondo noi, consapevolmente riguardo alla battaglia che ci preoccupa così tanto.

Amici e amanti di San Vito Lo Capo, alla luce degli innumerevoli rischi che abbiamo elencato, come vi porreste di fronte ad un possibile tranello? Regalereste ad un privato un pezzo della nostra San Vito dietro una “promessa” di sviluppo? Vorreste mai essere complici di un destino firmato dal cemento e dalla privatizzazione di un’area che di diritto è vostra?

VOGLIAMO CHIUDERE CON UNA PROPOSTA ED UN APPELLO, PROPRIO PER DIMOSTRARE ANCORA UNA VOLTA DI ESSERE UN COMITATO PROPOSITIVO CHE A DIRE “NO” E BASTA NON CE LA FA:

Vi sono alcune cittadine che ci mettono davanti agli occhi un’alternativa alla galoppante cementificazione e globalizzazione dell’offerta commerciale: il Comune di Posada, a sud di Olbia, ad esempio, si è dotato di così tanti premi e riconoscimenti in materia umana ed ambientale (Premio Urbanistica 2013, miglior PuC, area Mab (Man and Biosphere) Unesco 2017 (solo per citarne alcuni!), da essersi corazzata dalle aggressioni di chi voleva imporle un modello economico industriale e dannoso a 360°.
Una corazza, quella di Posada, grazie alla quale il Comune ha realizzato un trend turistico attratto dalle sue proprie bellezze, un enorme indotto vocato alla ricerca delle specificità umane e naturali sarde, e così ha potuto salvaguardare le proprie attività locali ed indipendenti ed il proprio territorio.

Il nostro auspicio ed appello è questo: che le amministrazioni, ad ogni livello, possano abbracciare una visuale moderna, sostenibile responsabile di turismo. Possano impiegare risorse e strumenti, cavalcarli e farli propri, che salvino i loro territori dal falso mito dello sviluppo per creare una crescita virtuosa e rispettosa dei luoghi e delle persone:

PERCHÉ UNA IPOTESI DI SVILUPPO C’È E NON PARTE DAL CEMENTO!

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